Passeggiata a Montmartre
E dimmelo dammelo e bingo bongo, eccoci arrivati in place Saint Pierre, ai piedi di Montamartra.
Papozzo prende fiato prima della salita.
Questa volta Puti e Izzo ci hanno portati a fare una scampagnata su nella collinetta.
L’ho capito già da questa mattina che c’era qualcosa nell’aria, quando Puti mi ha guardata con aria di sfida: “Vediamo se le tue anche reggono la salita.”, ha detto beffarda. Io l’ho guardata fissa negli occhi: “Ma certo che reggono, Puti. E ti darò anche un bello strattone così ti farò cader per terra e ti fracasserai le ginocchia. Allora sì che chiamerai un taxi per la discesa.”
Ci vogliamo bene io e Puti. A modo nostro, neh.
Al risveglio è tutto baci e carezze, mentre durante la giornata quando lei è a lavoro dietro il crocicchio - così mi piace chiamare la piazza dell’università - io sono qui a casa che l’aspetto e me la godo col mio compagno scemo che ogni tanto si rende utile. E allora è tutto un giochicchio.
Ma il pezzo forte arriva nel fine settimana quando gli umanoidi glabri coi quali condivido l’appartamento ci propongono le attività più astruse.
Così, per la prima volta da quando sono qui, ho accettato - io perché il maschio non ha voce in capitolo - la sfida di Montamartra.
Ed eccomi qui ai piedi della collinetta; ho già trovato la mia preda.
Da dietro la cancellata un gatto nero mi sta fissando con aria di sfida e la cosa non mi piace, non mi piace per niente, neh! Prima di tutto perché è un gatto, quindi lo considero una preda, cena facile al lup; poi perché è nero e porta sfiga.
“Ma dai Alaska, non essere scaramantica!”, osserva Puti.
No, Puti, non sono scaramantica; è dall’ottavo secolo dopo il Gesù bambino che tutti lo dicono. Ci sono pure le fiabe e le canzoncine popolari che lo ricordano, neh!
“Eh va bene Alaska; ma trattalo bene perché quello è il gatto della funicolare”.
Puti, ma cosa dici? La funicolare?
Toh, guardala lì sulla sinistra. In cambio di un biglietto della metro porta su gli sfigati che non hanno voglia di farsela a piedi, neh. I proprietari di bassotti, per intenderci.
“Alaskina!” - mi apostrofa sorniona Puti - “non dire così. Con la funicolare si fa prima e gli anziani non fanno fatica”.
Eh sì, peccato che la devono aspettare e poi, alla fine, avanza una rampa di scale che scompagina tutti i piani a quelli che usano le carrozzine dopo i quindici mesi.“Alaska!”, mi rimprovera Puti.
E cosa dicevi a proposito del gatto? Che guida la funicolare?
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“No, Alaska, è il gatto della funicolare perché una volta la presi per salire… Ma non guardarmi così!”.
E come ti devo guardare? Dai, continua.
“E quell’unica volta che la presi…”.
Sì certo, l’unica, come no.
“Quell’unica volta che la presi, nel bel mezzo della salita, io e gli altri passeggeri vedemmo un gatto appollaiato lungo la strada. Era proprio il gatto nero che ti sta guardando”.
Bravo scemo. Peccato si sia spostato all’ultimo, altrimenti ci avremmo fatto un buon paté.
“Con annessa interruzione del servizio pubblico”, osserva Puti.
Tipico dei gatti. Puti mi carezza dietro le orecchie. Sa bene come sia incorreggibile in fatto di felini.
“Andiamo?” - dice Izzo. Ma certo!
Ci incamminiamo sulla prima rampa centrale al termine della quale Yukon sgancia un peto assurdo che mi inonda in pieno.
Allungo il passo.
“Ehi, scemo! Mettici un tappo, altrimenti le studentesse qui non riescono a concentrarsi”.
È pieno così di giovani che leggono, scrivono e disegnano.
Amici che si incontrano, coppie che si godono momenti di relax.
Ce n’è per tutti i gusti e le età.
C’è anche uno col Barbour.
Che c’entra il Barbour? C’entra perché mi ricorda gli inglesi quando qui siamo in Francia. Quindi non c’entra. Ironia husky.
Eccolo lì il bassotto! Sulla piana laterale dove i gradini sono un filo più bassi. Guardalo lo sfigatello come cerca di issarsi su, di gradino in gradino, con le sue zampe corte. Non ce la fai, pirla. Torna indietro!
“Alaska!” . mi redarguisce Puti. La ignoro.
Nel frattempo me la salgo accanto a Yukon che tiene la lingua perennemente fuori. Tira sempre, Yukon, e non vede l’ora di arrivare in cima. La salita lo manda su di giri oltremodo. Se caracollasse così anche in discesa ci sarebbe da spaccarsi le gambe.
E dai che ti ridai, una zampa via l’altra, il sepolcro imbiancato si fa sempre più vicino…
“È la chiesa del Sacro Cuore, non un sepolcro imbiancato”, mi corregge Puti.
Non mi piace, neh! Troppo recente, troppo moderno. Insisto.
E dopo settantacinque gradini arrivo alla cima della collinetta, presa d’assalto da centinaia di umanoidi intenti a farsi i selfie. Eccoli lì, gli umanoidi, con i loro visi paffuti e smunti, ci sono anche i bambinelli, uno mi si fa incontro sulle gambette corte, ma io faccio finta di niente.
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Quello infine arriva alla mia coscia, ci sbatte contro, cade per terra e scoppia a piangere.
“Rien, rien”, dice il genitore glabro.
Guardo il bimbo per terra. Gli do un bacino.
Scusa, neh? Non l’ho fatto apposta, o forse sì. Beh, insomma. Sono stata ferma, di più non potevo fare.
“Hai ancora le cosce toniche, eh Alaska? Brava”.
Grazie Izzo! Tu sì che mi capisci e mi stimi.
Yukon si guarda intorno e lo mordicchio.
“Ehi, scemo. Siamo arrivati in cima”.
“Ho visto Alaskina, ogni giorno raggiungiamo nuove vette”.
“Ma quali vette? Questa è solo una collinetta intitolata a uno che si fece impiccare per la fede”.
“Non fu impiccato, venne bruciato” - osserva la storica.
E come si chiamava il fenomeno?
“Non me lo ricordo”.
E brava, puti! Sai mai niente, neh? Cosa ti insegnano all’università?
“Ma sì Alaska, mi è sfuggito”.
Sì sì, dici sempre così. È la scusa di Puti: mi è sfuggito.“Beh, anche a te è sfuggito il gatto”.
Guarda neh! Che non ci devi nemmeno provare, neh. Non mi è sfuggito, solo ho obbedito al tuo ordine di continuare la passeggiata.
“E dov’è il gatto ora?”.
Sarà andato a un vernissage… ma che domande mi fai, Puti? Cosa ne so io del gatto?
Ebbene, ora che siamo in cima cosa facciamo?
Ci avviciniamo alla chiesa, ma non possiamo entrare. C’è un signorino che canta Halleluja accompagnato dalla chitarra acustica. Che bravo, bella voce. Pensa se si gli si rompe il mi cantino proprio ora che c’è il ritornello… eh eh.
Izzo imbocca la stradina che porta sul retro della chiesa. È una via ciottolata con poche persone. Sono tutti a pregare o a far finta nella casa del signore. Oppure a farsi i selfie sulla collinetta. Bravi. Così possiamo continuare il nostro giro turistico in santa pace.
La chiesa è tutta bianca, di un bianco stucchevole che fa appena contrasto col nero delle cesellature, dei decori e delle statue. E un po’ di nero deve esserci per forza, no? Mica può esser tutto bianco assoluto. Dietro la chiesa la strada continua a rivelare la parte più antica di Montamartra. Continuiamo a camminare tranquilli finché Izzo si ferma di fronte a un edificio di vecchia data. È fatto in pietra e c’è un portone in quercia, come quelli di un tempo. Deve averne visti di gatti quella porta lì.
Izzo si avvicina con Yukon al fianco. Guarda il citofono, poi si volta verso Puti: “C’è scritto Carmela!”
“Ma come Carmela?”, dice Puti incredula.
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“Ma sì, vieni qui, guarda.”, e senza aspettarla Izzo suona il citofono.
“Ma cosa fai?”, dice Puti. “Carmel c’è scritto.”
“E Carmel è Carmela.”
“Ma no, sono le carmelitane. Hai citofonato alle suore. Andiamo via!”
“Ah!”, dice Izzo e scoppia a ridere.
Scambio uno sguardo con Yukon. Izzo e Puti sono proprio due salamelecchi. E comunque le suorine non hanno mica risposto.
Riprendiamo il cammino finché la strada ci porta, finalmente, nel centro di Montamartra. Il centro turistico. Il centro parigino. Insomma, il centro. L’unico centro che ci può essere. Siamo arrivati in Place du Tertre. Quanta gente, quanti turisti, quanti parigini.
Izzo comincia col dribbling e il doppio passo, e cinque metri sono andati. Poi è la volta dell’elastico, cioè il togli il piede a schivar la botta e proteggere il siberiano. Mi piace.
Sono tanti davvero questa volta; la folla è più compatta di quella di Notra Dama. Lì almeno la piazza era grande, ma qui è molto più ridotta perché al centro ci sono gli alberi e i tavolini dei bistrot lasciano poco spazio alle tele dei pittori che fanno i disegnini in tempo reale. Ce ne sono a decine di artisti, ognuno col proprio tratto.
Si possono distinguere tra paesaggisti, ritrattisti e caricaturisti. Un uomo con la faccia di gomma si fa avanti. Sembra proprio la gomma in rotolo che Puti comprava quando andava al mare da piccola. Era al gusto fragola.
Lo sguardo oscilla tra Puti e Izzo e Izzo e Puti e… “Voi! Devo farvi una caricatura!”, dice in perfetto italiano.
Sì, come no. Izzo rifiuta con cortesia, Yukon riprende il passo al suo fianco, qualcuno mi pesta la zampa e un filotto d’aria calda mi esce dal didietro. Adesso basta. Urge un riparo perché stavolta la sbombo, la sbombo di brutto. Promessa del lup.
In fondo sulla destra c’è un museo dedicato a uno che si chiamava Dalì e che sarà morto di sicuro. Non che lo conoscessi, ma ho imparato presto che quando ti dedicano un museo o una via hai smesso di respirare da una vita e mezzo di Husky.
Imbocchiamo la direzione opposta al museo e tra scalpiccii di piedi, odor di salamelle e di cioccolata, un idiota, che sta aspettando il suo turno al ristorante, sopraffatto dalla noia, fa un passo indietro, pestandomi la zampa; mi guarda, preso alla sprovvista, e gli faccio i denti.
Ebbene, tra una marea di umanoidi e pochi canidi - tutti in formato mignon - arriviamo all’agognato giardinetto.
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Il suono del cancello di metallo che si apre stridendo è il più dolce che le mie orecchie abbiano udito da quando ho visto il gatto che mi faceva la posta alla piazza, una vita prima. Entriamo e una fresca ghiaietta mi sfrigola i cuscinetti, dando sollievo dal ciottolato di poco prima.
Al centro prati quadrati ben curati e, sulla sinistra, un colonnato sormontato da piante rampicanti a creare un ambiente romantico, un posto incantevole adatto a… piisaaaaaa. Eccola lì, liberata!
Faccio qualche metro, mi piazzo sul prato e sgancio la bomba, il cui fumo si libra nell’aria. Il mio didietro è come un comignolo portatile, lo so bene. Izzo si china a raccogliere e butta nel cestino. Bravo, Izzo, l’ambiente sopra ogni cosa.
Lì nella giardinetta ci sono pochi umanoidi e qualche bambino. Pare di stare in paradiso. Dopo essermi liberata di tutto quel fracasso mi sento di buon umore. Izzo e Puti si accomodano su una panchina e ci danno da bere. Poi ci rilassiamo tutti, belli tranquilli sulla panchetta. Mentre Izzo e Puti parlano in umanoide, io e Yukon ci guardiamo a bocca aperta, la lingua fuori a liberare il fiato. Yukon si interrompe appena per darmi un lecchino sulla guancia e io lo annuso dietro le orecchie ed è una beatitudine che vi raccomando.
Mi sdraio a pancia in sù a godermi l’arietta fresca.E posso proprio dirvelo: Montamartra mi è piaciuta.
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